RLM #1 – All’amore non si comanda

serveimageNon aveva voluto più uscire dalla sua stanza appena avuto la notizia.
I suoi pensieri si sposarono con le nuvole bianche che danzavano nel cielo azzurro di quel giorno di estate e vagarono sui ricordi delle giornate felici passate con lui.
Prati verdi, corse fino a perdere il fiato, risate e tante coccole.
La chiamarono e si alzò di scatto affrontando a passi sicuri e decisi il corridoio per coprire più velocemente possibile la distanza che separava la sua camera con la porta di ingresso.
Cercò di mostrarsi fredda e distaccata anche se, dentro di sé, avrebbe voluto disperarsi.
Scivolò sul sedile posteriore della vettura che l’attendeva col motore acceso e chiuse la portiera mentre una lacrima scappava al suo autocontrollo rigando il suo bel viso.
Solo in quel momento lo vide e sentì il suo cuore battere a mille mentre realizzava cosa stava succedendo? Lei se ne pentì per un attimo di non averlo salutato, di non averlo carezzato dolcemente come a lui piaceva. Ma sarebbe stato giusto all’alba di un addio?
Lui sembrava incredulo alla scena.
Probabilmente pensava fosse tutto uno scherzo, una montatura, un gioco.
L’autista dell’auto ingranò la marcia e lei vinse contro suo istinto che la invitava a scendere dal mezzo ormai in corsa.
Lui, probabilmente, realizzò solo in quel momento la veridicità delle azioni che gli attori stavano attuando in quel momento e si divincolò dalla presa della persona che cercava di calmarlo.
Appena si sentì libero si mise a correre dietro quella scatola di metallo che stava portando via l’unica ragione della sua vita: Aurora.
Non importava l’assurdità del suo gesto, né fece calcoli per portare a termine l’impresa.
Cominciò una corsa disperata senza risparmio.
I ricordi presero forma e consistenza: il mondo intero si fermò come per tifare per quel corridore senza speranza, per vedere se ce l’avesse fatta ad andare al di là dei suoi limiti, se un essere vivente avrebbe sconfitto una macchina.
Lui ricordava il loro primo incontro: si erano guardati dritti negli occhi ed era scattato qualche cosa che li aveva uniti. Lui, molto irrequieto fino a quel momento, si era calmato e l’aveva seguita docilmente facendo stupire tutti quelli che lo avevano conosciuto fino a quel momento.
No, la vita non gli aveva riservato un bel trattamento.
Staccato dalla madre subito dopo averlo svezzato e con un padre bastardo che, probabilmente, nemmeno sapeva della sua esistenza.
Era stato uno spirito libero finchè non era stato beccato e infilato in una gabbia.
Poi era arrivata Aurora.
La persona che materialmente li aveva fatti incontrare sembrava meravigliata e aveva detto, con un sorriso ironico, che probabilmente lui si era innamorato di lei.
Era vero.
Aurora credeva nei colpi di fulmine e lo aveva abbracciato con passione fin dal loro primo incontro.
Lo aveva difeso contro i suoi stessi parenti che lo avevano definito brutto e sporco.
Solo lei aveva visto qualcosa di buono in lui.
Non poteva abbandonarlo così.
Non ora che erano diventati una sola cosa.
Mentre correva senza sosta non poteva credere che tutto fosse finito e guardava con disperazione la ragazza che, con occhi lucidi, era poggiata col naso incollato al vetro posteriore della vettura e stava appannandolo con il fiato reso pesante dai singhiozzi che sicuramente stava emettendo dalla disperazione.
Dopotutto, secondo lui, lei non voleva dividersi ma qualcuno aveva scelto per loro.
Cosa avrebbe fatto senza le sue carezze, le sue infinite coccole e la sua attenzione manicale?
Si immaginava vagabondo nei quartieri più squallidi, immerso nella sua solitudine, ramingo in cerca di amore. Gli venne un flash pensando che probabilmente sarebbe caduto in disgrazia e avrebbe dovuto elemosinare un tozzo di pane o peggio cercare tra i bidoni dell’immondizia insieme ad altri bastardi.
Questa immagine dette più ossigeno ai muscoli facendolo correre più velocemente.
Il semaforo scattò rosso e la macchina si fermò: il suo cuore ebbe un balzo di gioia perché capì che la poteva raggiungere.
Arrivò senza fiato ma si fece notare tanto che Aurora gridò mischiando sorpresa, gioia e timore.
La ragazza scese dalla sua auto e non badò alle raccomandazioni dei suoi genitori, che dalla vettura, la invitavano a stare attenta perché si trovava in mezzo alla strada.
Lei parve essere fuori da quel contesto.
Le auto le passavano accanto piene zeppe di occhi curiosi che la focalizzavano per capire cosa fosse successo.
Gli occhi di Aurora inquadravano solo ed unicamente lui che era sfinito, con la lingua penzoloni, ma contento tanto che, appena la vide avvicinarsi, le saltò addosso.
«Rocky buono!» era felice, non lo stava sgridando, dopotutto lui era il suo cucciolo anche se ormai era cresciuto abbastanza da essere temuto dalle persone.
«Devo solo stare via due giorni… ti ho lasciato dalla nonna… non ti posso portare con me…»
Per un attimo aveva pensato che Aurora lo volesse lasciare lì e lui aveva guaito e abbaiato ma senza ottenere nulla. Aveva avuto paura di tornare dentro la gabbia al canile dove lei, un bel giorno, era entrata e lo aveva scelto per portarselo via.
«All’amore non si comanda…» commentò con un sorriso il padre di Aurora scendendo dalla sua vettura. Aprì la portiera di dietro e fece accomodare il loro cane.
«Cercheremo un albergo che accetti anche i cani….»
La padroncina Aurora e il suo cane Rocky si strinsero affettuosamente: l’amore aveva vinto.

    All'amore non si comanda

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