La sagra del… Blues.

serveimageLeggo, condividendolo, questo articolo di Andrea Tibet Betti su ciò che è diventato il Pistoia Blues, senza poter evitare lo scoramento al ricordo di ciò che è stato. E’ perchè allora avevamo vent’anni e le cose erano per forza più belle? Può darsi. Fatto sta che la manifestazione è cambiata, ha subito una metamorfosi: la farfalla multicolore è diventata un asettico congegno meccanico perfettamente funzionante. Tutto lecito, forse anche normale, però almeno ad Arezzo hanno avuto il buon senso di cambiargli nome, quando l’onda è rifluita. A Pistoia, invece, le file di camion di porchettari allineati per le strade del centro e un unico mercatino standard in piazza dello Spirito Santo è quello che rimane del grogiolo umano che potete ammirare nel video in fondo a questo post. Ma lo chiamano ancora Pistoia Blues…
Ripropongo perciò le considerazioni che feci lo scorso anno. Se vi annoio, pace.


Io sono fra i tanti che hanno vissuto le edizioni del Blues degli anni ’90 (gli anni ’80 li ho persi per ragioni anagrafiche) e, scusate la facile battuta, era tutta un’altra musica. Si dirà: ma c’era la droga (perché, oggi è sparita?), la gente dormiva e defecava per strada, i frikkettoni (quelli veri) con le loro mercanzie erano agli angoli delle strade senza permessi e licenze varie, i bonghi non facevano dormire i residenti ecc. ecc. Tutto vero, ma dopotutto era questione di tre giorni, non si trattava di sei mesi d’assedio alle mura cittadine. I latini dicevano “Semel in anno licet insanire”, ossia “una volta all’anno è permesso fare pazzie”, e il carnevale medievale ne riprese lo spirito. Ma nel Medioevo erano sporchi, brutti e cattivi, si sa, mentre “la civiltà è sterilizzazione” ci insegna Aldous Huxley nel suo Mondo nuovo. Che quel mondo nuovo sia poi la più agghiacciante delle tirannie è secondario, l’importante è che tutto sia in ordine, pulito e che regni la stabilità sociale. Nei campeggi dove bivaccava il “popolo del Blues”, invece, di stabilità ce n’era poca, ci scappò anche il morto per overdose e quello fu il casus belli per eliminare alla radice il motivo di tanta sconcezza: via i campeggi, e chi vuol venire da fuori a vedere i concerti si paga una stanza da qualche parte. Se non te la puoi permettere stai a casa. Quel Festival Blues, con tutti i suoi limiti e le sue “devianze”, aveva una caratterizzazione che lo rendeva davvero unico nel panorama dei festival estivi nazionali. Era sincero, ruspante, umanamente ricco, sporco ma vero, caotico ma emozionante. Tutto questo però stonava con l’ordine e la pulizia (a volte anche con la legalità, è vero, ma le forze dell’ordine e i cani antidroga ci sono proprio per quello), e in questi anni le varie amministrazioni succedutesi hanno fatto di tutto per livellare i contrasti, pulire le strade, evitare incidenti. Ed oggi possiamo dire che ci sono riuscite. L’eliminazione del caratteristico mercatino dalle vie del centro è forse l’ultimo atto che dà il colpo di grazia a quello spirito che rendeva il Festival Blues unico nel suo genere. Adesso Pistoia ospita un festival come tanti per otto giorni (perché nel frattempo anche i tre giorni di woodstockiana memoria si sono dilatati); un Festival che, pur mantenendo mediamente alta la qualità degli artisti sul palco, ha perso la sua identità e la sua personalità; sono spariti i freak e sono comparsi tanti camion di porchettari, come in una qualsiasi sagra di paese; i ragazzi “bene” una volta non andavano al Blues, oggi si sbronzano insieme a quelli “alternativi” per le vie del centro, magari col cappellino OBEY in testa (guardatevi Essi vivono, bischeri!). Altro caso di omologazione, nello stordimento alcolico (rigorosamente in bicchieri di plastica, però!).

Ma forse è giusto così. Tutto scorre, diceva quello, anche un festival musicale è normale che cambi. Speriamo solo di non dover mai vedere il brand di qualche multinazionale inserito nel nome della manifestazione, come già accade in molti (tristi) casi.

Il Blues è morto? Viva il Blues!


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