Un Benvenuti fatto di sangue

Benvenuti Alessandro (foto di Bossanostra) (s)Pur sapendo della sua intensa attività teatrale, non avevo mai visto Benvenuti sul palcoscenico. Lo conoscevo per il suo passato televisivo e cinematografico, e considero tutt’oggi Ad ovest di Paperino uno dei dieci film da portare sull’isola deserta, nel caso che… Quindi non sapevo bene cosa aspettarmi. ll titolo del monologo, Un comico fatto di sangue, lascia aperte tutte le strade della commedia e della tragedia; la sinossi diceva poco di più. Quello che ho trovato è stato un attore in gran forma, brillante e con i ritmi giusti, proprio come il bullo di Radio Ketchup nella Firenze del 1982. Dal punto di vista recitativo, Benvenuti è una mitraglia che per un’ora e mezzo non inceppa una cartuccia. Una mitraglia che fa ridere il pubblico tanto che spesso le sue raffiche vengono coperte da applausi e risa. Il testo è l’analisi lucida e spietata di un menage a cinque (poi sei) in una normale famiglia borghese, con le lotte quotidiane per preparare pranzo e cene, le diatribe con le figlie adolescenti, i reumatismi dell’età e le vicissitudini surreali, ma in cui molti spettatori si riconosceranno, derivanti dal rapporto con un animale in casa. In questo caso un cane (poi due), ma con un gatto le cose non sarebbero cambiate di molto. L’analisi retrospettiva di dieci anni di vita familiare, sconvolti dall’arrivo del cane, anzi, della cagna, al di là dell’immediata comicità delle scenette, è una rappresentazione dal valore universale sulle difficoltà della convivenza con le persone che, per quanto siano le più care e amate, dopo tanti anni porta ad attriti, difficoltà e repressioni. Fino all’inevitabile nevrosi che, come Pirandello insegna, altro non è che lo sfogo naturale di un’esistenza insoddisfacente, anche se apparentemente tranquilla. Forse l’unico appunto che si può muovere alla piece è il colpo di scena finale che, benché ottimamente calibrato, non ha la forza per ribaltare lo spirito e l’atmosfera generata da un’ora e mezzo di umorismo, anche sardonico.

La scenografia è essenziale, una sedia e un leggìo, incorniciati durante i cinque “movimenti” del monologo, da effetti di luci che ritagliano figure nette e geometriche sul palco. Completano l’opera alcuni narrati dell’attore registrati. Da sottolineare la prima di queste registrazioni che, ricalcando i messaggi standard dei teatri all’inizio degli spettacoli, invita il pubblico a spegnere i cellulari minacciando con ironia (ma nemmeno troppa…) di interrompere lo spettacolo nel caso di qualche squillo inopportuno.

E il pubblico pistoiese ha rischiato grosso, visto che i soliti tossicodipendenti da smart-phone non sono mancati nemmeno stavolta. Non solo non si riesce ad resistere ad un’ora di astinenza col cellulare spento, ma non si ha nemmeno l’educazione di silenziarlo. Si arriva persino a rispondere tranquillamente disturbando l’ascolto e facendo perdere il filo dello spettacolo. Non tanto diverso l’effetto di chi è colto da mania compulsiva da consultazione di social network, accendendo dei veri e propri lampadari che squarciano il buio e l’atmosfera creatasi. Cafoneria e mancanza di rispetto imperano in questa società di tecno-digitalizzata, anche fra i frequentatori di teatri.


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