RLM #2 – In viaggio

donna-al-finestrinoC’è qualcosa di strano, che non saprei neanche spiegare. Forse una sensazione, un ronzio, una preoccupazione piuttosto che una paura.
Alla stazione faceva freddo. Era piena di barboni come al solito, sgancio uno spicciolo a uno e mi metto a sedere sotto la pensilina ma il vento ghiaccio arriva lo stesso quindi mi sposto sul gradino del bar chiuso, il cemento è meno freddo delle panchine di ferro.
Non avevo calcolato l’attesa quando mi sono vestita soltanto di una maglietta e un paio di jeans, tanto gli autobus sono sempre in ritardo, dovevo pensarci.
Nel frattempo passa il treno. De v’essere uno di quelli veloci perché fischia e non si ferma, esattamente come quel ronzio che ho in testa.
Finalmente arriva l’autobus ma quasi non lo vedo, sono troppo impegnata a osservare due tizi che litigano poco più in la della fermata. Lei è bionda, sulla trentina, indossa un abitino corto poco adatto per l’ora e smanetta in continuazione per insistere su quel discorso che lui non vuol capire. Lui è cotto, forse usciva da lavoro quando l’ha incontrata, sta appoggiato al muro con una gamba sola e si dondola avanti e indietro con la faccia di uno che aspetta che la solfa finisca.
Spengo il cellulare che ha vibrato per un’ora sennò rischio di non godermi il viaggio.
No, mamma, non ti rispondo, vado e basta.
Sbanda da subito questo autista stempiato e con gli occhiali da sole in una sera d’inverno e io riesco a malapena a infilare il biglietto nella giusta fessura, dato che ce l’ho lo volevo timbrare e fare la brava ragazza. Glie ne avevo fregati un sacco di viaggi in quegli anni, mi piaceva il rischio che il controllore potesse entrare e chiedermi i dati e il pericolo che la voce potesse tradirmi e farmi sembrare finta mentre dispensavo ogni volta un nome diverso dal mio.
Per fortuna trovo posto e il finestrino è chiuso bene, il tragitto non è tanto corto e non avrei certo voluto sentire gli spifferi sulla faccia.
Mi accoccolo con la testa schiacciata sullo zainetto, proprio come facevo quando andavo a scuola e miracolosamente avevo avuto la fortuna di trovare posto a sedere, oppure lo rubavo a qualcuno che mi sembrava più fritto di me, più stordito, come si suol dire.
Guardo fuori anche se il vetro si appanna. Scorrono veloci le case ed i palazzi, non se ne distingue neanche la forma quando, sulla strada statale, il mezzo prende velocità.
Guardo fuori per non guardarmi dentro, perché pensare adesso sembra più difficile che parlare ad alta voce.
Volevo solo regalarmi un pezzo di cielo sereno in quel weekend, invece vado incontro al buio. Ci sono le stelle, le vedo, ma non brillano abbastanza da farmi stare tranquilla…quando il cancello si aprirà lui vedrà me lì davanti ad aspettarlo e saprà che l’avrò perdonato. Ma lui avrà perdonato se stesso per quello che ha fatto?
Ecco, sento qualcosa che scricchiola…come uno scalpicciare di scarponi sulle foglie cadute. La sua faccia è cambiata, non ha più quel viso sereno e quei lineamenti da bambino, la barba è incolta, i capelli arruffati svolazzano al vento.
Che faccio? Gli dico “ciao papà, ben uscito di prigione, che progetti hai per il futuro?”?
O forse sto in silenzio e aspetto che dica qualcosa lui, che una buona volta sia lui a dirmi qualcosa che mi faccia stare meglio.
Piango, e anche se non c’è nessuno tranne me e tranne lui io sento che potrei piangere pure davanti a un milione di persone, anche se fossero tutte intorno a me a guardarmi piangere. Perché le emozioni le dovrò pure buttar fuori in qualche modo, se le tengo dentro fanno la muffa.

    In viaggio

  • Racconto brutto (5%, 1 Voti)
  • Racconto mediocre (0%, 0 Voti)
  • Racconto discreto (16%, 3 Voti)
  • Racconto bello (5%, 1 Voti)
  • Racconto molto bello (74%, 14 Voti)

Voti totali: 19

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