Realtà, fantasia, verosimiglianza. Riflessioni sulla Storia e sulle storie.

Nei primi dieci anni del regime, quindi fino al 1932, Mussolini subì ben 6 fra attentati e tentativi di attentato. Ad alcuni scampò in maniera rocambolesca. Il 7 aprile del 1926, per esempio, Violet Gibson, una irlandese di cinquant’anni, gli sparò e lui si salvò perché in quel preciso istante fece il saluto romano scostando così la testa all’indietro. Verrà ferito al naso. Lei sarà “solo” esiliata e passerà trent’anni in manicomio, dove morirà. A seguito di questo attentato, la diciottenne Claretta Petacci scriverà una lettera piena di venerazione al suo Duce, da cui scaturirà la loro relazione.

L’11 settembre dello stesso anno, Gino Lucetti, anarchico carrarino, lancia una bomba contro la macchina su cui viaggiava il Duce, ma la bomba rimbalza sul lato alto del finestrino e torna in strada, ferendo diverse persone. Lucetti si prenderà 30 anni di carcere, verrà liberato nel 1943 dagli Alleati ma morirà ad Ischia durante un bombardamento tedesco.

Un mese dopo, il 31 ottobre 1926, Anteo Zamboni, quindicenne bolognese, sparerà durante un corteo a Bologna. La pallottola trapassa il bavero di Mussolini che però si salva ancora. Il giovane verrà linciato sul posto dalle camicie nere, fra cui anche Balbo. Il primo a immobilizzarlo sarà un tenente di fanteria, Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo.

Nel 1932 il venticinquenne Angelo Pellegrino Sbardellotto, anarchico emigrato in Belgio, decide di vendicare Michele Schirru, fucilato l’anno prima per tentato attentato al Duce (morì gridando “Viva l’anarchia!”). Tornerà quindi in Italia per ben tre volte cercando di avvicinare Mussolini, ma non ci riuscirà mai. Verrà fermato per caso dalla polizia mentre passeggia armato per piazza Venezia. Rifiuterà di chiedere la grazia e verrà fucilato. Il loro coraggio suscitò l’ammirazione dello stesso Mussolini che dichiarò: «Sbardellotto rispose all’invito del magistrato a firmare la domanda di grazia dichiarando di rimpiangere solo di non aver eseguito l’attentato; Schirru anarchico, ottimo combattente della Grande Guerra che grida la sua fede dinanzi al plotone di esecuzione, sono uomini veramente degni di un destino migliore di quello che la sorte ha loro riservato.»

Oltre alla banale (e inutile) riflessione su come sarebbe cambiata la storia d’Italia se uno di questi attentati fosse andato a buon fine, penso a quante volte uno scrittore si domanda se il racconto o il romanzo su cui sta lavorando sia verosimile. La verosimiglianza è un elemento fondamentale della letteratura che altrimenti perde di credibilità. Eppure, la storia è piena di episodi inverosimili o per lo meno molto curiosi. Quanti editori avrebbero bocciato una trama come quella degli attentati a Mussolini perché troppo “inverosimile”? La realtà supera la fantasia, si sa, eppure alla fantasia non è dato di superare la realtà. Che non sia quindi il caso di essere un po’ più elastici anche con gli scrittori?


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