Più carati per gli Omini

omini-caratiAl teatro Bolognini sabato 19 novembre e domenica 20 sbarcano Gli Omini con il loro nuovo spettacolo: Più carati. Ci eravamo già occupati di loro in occasione dei precedenti lavori (Ci scusiamo per il disagio e La famiglia campione) e c’era curiosità per questo lavoro che presenta alcuni elementi di novità. Intanto, per la prima volta, la compagnia non parte da un’indagine sociale sul territorio ma si rifà a un fatto che, per quanto a tratti inverosimile, è accaduto realmente loro: il ritrovamento in un bar di una busta con quasi 3000 euro in contanti e un anello di grande valore. Come spiegato da Francesca Sarteanesi, Francesco Rotelli, Luca e Giulia Zacchini nell’incontro col pubblico seguito allo spettacolo, l’evento ha innescato una serie di “turbamenti” ed è stato utilizzato per dare compimento ad una volontà artistica che covava già da tempo, ossia trovare un innesco per parlare di un mondo lontano, “altro” rispetto a quello solitamente trattato da Gli Omini: il mondo dei ricchi, dei faccendieri, dove circolano fiumi di soldi e scarseggia l’anima. Un mondo che, per un caso fortuito, si trova a intersecare per pochi giorni quello di tre quasi-quarantenni che vivono alla giornata con lavori precari e sogni chiusi a chiave con doppia mandata nel cassetto. Più carati parte da qui e descrive in modo come sempre ironico e sfrontato le diverse reazioni dei tre amici; reazioni simili a quelle di chiunque si trovasse d’improvviso ricco senza sapere come fare a gestire tanta ricchezza. In alcuni prevale la paura di essere braccati e raggiunti da fantomatiche organizzazioni criminali o dalla polizia, altri si pongono scrupoli morali su ciò che sarebbe più giusto fare, altri tengono lo zoom su come potrebbe cambiare la propria vita, senza pensare ad altro. Il risultato sono situazioni e dialoghi al limite del surreale (con la brava Francesca Sarteanesi che parla con l’anello come fosse in adorazione mistica, lo sguardo perso nel vuoto, la dizione stentorea e assorta che ricorda il Monni di certi monologhi in Berlinguer ti voglio bene), ma che non sfociano mai nella vera comicità perché il fondo di amarezza per la propria condizione, e per l’incapacità di cambiarla davvero, rimane sempre. Altra novità di questo spettacolo, un vero apologo su una situazione tipica di ogni tempo e di ogni società, è il fatto che gli attori interpretano sempre gli stessi personaggi, senza mutare continuamente pelle in modo virtuosistico, come avveniva nei precedenti lavori. La compagnia, quindi, cerca di calcare nuovi sentieri, pur con i medesimi linguaggi.

Tuttavia, benché lo spettacolo sia godibilissimo e faccia anche riflettere, al chiudersi del sipario mi è rimasto dentro un senso di incompiutezza, come di qualcosa rimasto, se non a metà, almeno a due terzi del cammino. Come se la conclusione fosse arrivata troppo in fretta e non si sia cercato uno sviluppo e un finale di più ampio respiro, che cercasse di scrutare in una dimensione più profonda, forse anche più assoluta e misteriosa. Perché nel cuore dello spettacolo, quando i protagonisti distesi nelle pose più improbabili si lasciano andare ai sogni impossibili che d’un tratto sembrano a portata di mano, si è davvero dentro una dimensione mitica, assoluta, dove le peculiari esistenze dei protagonisti si fondono con quelle di chiunque nelle medesime circostanze. Di lì a poco però, tutto precipita rapidissimamente verso un finale forse troppo realistico, troppo legato alla vicenda effettivamente vissuta, limitando le potenzialità di un testo che poteva aprirsi a scenari più grandi. Rimane la sensazione che, dopo l’apice del climax, ci sia non solo l’inevitabile allentamento delle tensioni, ma il radicale e fulmineo troncamento delle speranze. Ma è solo un languorino alla bocca dello stomaco, perché comunque, quando si esce da uno spettacolo degli Omini si spera sempre di vederne un altro il prima possibile.


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