Pistoia Blues: ripartire da Porretta

Anche se stento io stesso a crederci, non ero mai stato al Porretta Soul Festival. Quest’anno ho finalmente scollinato per andare a scoprire quest’evento di cui avevo sentito parlare un gran bene. E ho capito perché. La cittadina sul Reno ospita da trent’anni, sul finire di luglio, una rassegna musicale il cui valore è stato riconosciuto anche oltreoceano, in quella che è la culla del blues, del soul, del rock n’ roll. A Memphis, infatti, hanno premiato il Porretta Soul Festival con il prestigioso Keeping the blues alive award. Un po’ come se i senesi dessero un premio ad un piccolo borgo del Minnesota per il suo palio. Cosa fanno, dunque, a Porretta per meritarsi questo? Mi limito alle sensazioni che ho avuto da visitatore, da appassionato di musica e da fruitore di kermesse estive di vario tipo. Intanto la purezza. A Porretta sono riusciti a mantenere intatto lo spirito che, fin dalle origini, ha caratterizzato questa manifestazione. Niente grandi nomi o celebrità da MTV, “soltanto” decine di musicisti che fanno del soul e del rhythm n’ blues la loro ragione di vita, con una carica, delle capacità tecniche e dei talenti sbalorditivi. E il pubblico apprezza, gremendo gli spalti dell’arena del Rufus Thomas Park. Poi, il contesto. Intorno alla zona dei concerti principali, che iniziano alle 20:00, troviamo nell’ordine: un mercatino di artigianato e curiosità; una rassegna di cibo di strada, dall’Italia e dal mondo (non una sagra della porchetta); un palco in piazza che, dalla mattina alla sera, propone concerti gratuiti con gruppi e artisti in linea col Festival (non rap o metal, per intendersi, senza nulla togliere a questi generi); locali aperti fino a tarda notte; una tv dedicata che riprende e rende disponibili tutte le serate. L’effetto è quello di essere accolti in un ambiente gioioso, “caldo” e ospitale, benché piccolo e senza clamori (siamo pur sempre sull’Appennino) ma gestito con grande professionalità.

A questo punto, per un pistoiese diventa inevitabile il confronto col proprio amato Festival Blues. Eravamo anche noi così, viene da pensare. Anzi, eravamo anche meglio, perché le dimensioni e le possibilità che offre una città come Pistoia non sono paragonabili con quelle di un piccolo borgo montano. Ma scelte politiche e gestionali non sempre felici hanno trasformato il Blues in qualcosa di diverso: più pulito, più efficiente forse, ma un po’ anemico, a tratti esangue, come le strade del centro semi-deserte durante le serate dei concerti. Musicalmente la proposta è pur sempre buona, i grandi artisti non mancano, ma si è persa l’identità, quella personalità forte che faceva del Blues un evento unico e conosciuto in tutta Italia. Quest’anno, addirittura, non c’erano (o per lo meno io non le ho viste) nemmeno le magliette celebrative dell’edizione 2017. Il neo sindaco Tomasi ha detto di voler riformare il format e di tornare alle origini per rilanciarlo. Speriamo. Intanto, se vuole delle idee, guardi cosa fanno lassù, in terra emiliana. La ricetta è semplice, e non serve nemmeno copiarla. Basta rifarsi a ciò che eravamo: coerenza musicale, palchi in città, mercatino, eventi collaterali e, data l’assenza di strutture ricettive economiche in città, anche ripensare a un campeggio non dovrebbe più essere considerata una bestemmia. I mezzi per evitare eccessi e degrado ci sono. Almeno proviamoci a mettere la freccia e iniziare la manovra di sorpasso su Prato, Lucca, Porretta… il motore non è nuovo, forse un po’ ingolfato, ma a tirarlo un po’ potrebbe fare fiammate e lasciare il segno delle gomme sull’asfalto.

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