Oscura immensità, di Gassmann

SchermataIl titolo completo del dramma sarebbe L’oscura immensità della morte ma, per cercare di non impressionare troppo i potenziali spettatori, la compagnia ha deciso di smussare gli angoli e renderlo più evocativo. Oscura immensità è infatti uno spettacolo molto forte nei testi, nelle immagini, nelle pulsioni profonde che richiama a galla. C’è la morte, innanzitutto, che incombe su ogni scena e parola, e ci sono due esistenze distrutte, isolate nel loro dolore, rese cieche dai rispettivi errori e ostinazioni. C’è un rapinatore che per sbaglio uccide un donna e suo figlio di otto anni; c’è il marito delle vittime che, anche dopo l’ergastolo all’assassino dei suoi cari, non si rassegna, non cerca di rifarsi una vita, non vuole elaborare il lutto, perché crede che quello sia il modo migliore per onorare sua moglie e suo figlio e per render loro giustizia. Giustizia che non potrà arrivare, crede lui, finché non sarà trovato e punito anche il complice del rapinatore che è riuscito a fuggire. Una storia spietata ma del tutto simile alle tante che appestano giornali e rotocalchi pomeridiani della nostra nauseabonda programmazione televisiva in cui, a differenza del teatro, non si vuole far riflettere ma solo spettacolarizzare il dolore. La riflessione principale che nasce dallo piece, tuttavia, è quella sul perdono, sulla difficoltà di riabilitazione da parte dei parenti delle vittime di quelle persone che hanno compiuto gesti immondi sui loro cari. Il personaggio ideato da Massimo Carlotto, e impersonato da Giulio Scarpati, non ci riesce e macera, fino alla follia di una vita da eremita psicotico, in quel dolore-rancore che non è via di salvezza per nessuno. Il galeotto, interpretato da Claudio Casadio, è pentito per quel duplice omicidio involontario, ma non per la sua vita di cui, nel complesso, va fiero. I due soggetti non si parlano mai, lo spettacolo è composto da due monologhi che si intrecciano sfiorandosi, ma senza toccarsi mai. L’impatto sullo spettatore, più che dalla storia tipicamente noir con i suoi colpi di scena e topoi (Carlotto, dopotutto, è un affermato maestro del genere), avviene tramite le vibrazioni e il sommovimento di strati profondi celati in ognuno. “Cosa farei io al suo posto? Come reagirei?”, è questa la domanda che ci si pone, e che si sono posti anche gli attori per entrare nella parte. Inevitabile anche la riflessione su un sistema giudiziario lento e farraginoso che umilia i detenuti e preclude alle vittime quei tempi rapidi preziosi non solo per avere giustizia ma per intraprendere un percorso di riabilitazione, di cui hanno bisogno tanto quanto i carnefici.

La recitazione dei due attori è verace e genuina, specie quella di Casadio, aiutato anche dal suo accento romagnolo di cui non si è voluto liberare. Scarpati, che al cinema e soprattutto in tv è noto per le sue caratterizzazioni da “buono”, qui cerca di dar voce ad un rancoroso e impietoso (nel senso di incapace di provare pietà) uomo spezzato dal dolore, forse non riuscendo al 100% nell’impresa ma meritando comunque gli applausi finali.

La regia di Alessandro Gassman è molto ricercata, con suggestivi effetti video olografici, due scene mobili e suoni molto forti. Forse si sente troppo l’influenza cinematografica in questa scenografia, a tratti sembra di essere dentro le ricostruzioni video di certe trasmissioni sulla cronaca nera. Data la forza del testo, probabilmente si sarebbe ottenuta una buona resa anche con un impianto generale più tradizionale ma l’originalità e l’ottima coordinazione del tutto va comunque segnalata.

Scene: Gianluca Amodio

Costumi: Lauretta Salvagnin

Luci: Pasquale Mari

Videografie e suoni: Marco Schiavoni

Teatro Stabile del Veneto e Accademia Perduta Romagna Teatri


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