Non so dove ho sbagliato

Articolo originariamente pubblicato nel gennaio 2010 su Lo Snodo e attualmente non più reperibile.

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Belinda ha appena compiuto quarant’anni. E ne sente tutto il peso addosso. È sposata ed il suo rapporto col marito è ormai spento da tempo: routine, gesti usurati, dialogo assente. Il grande freddo insomma. Suo figlio non serve certo a darle un po’ di calore. La sua adolescenza sembra svilupparsi nel modo più opaco e animalesco. Sempre annoiato, svogliato, il giovane si trascina per casa con fare bovino senza dare segni di intelligenza. Per fortuna però che c’è zio Tonio. Belinda è molto legata a lui, in gioventù le è stato molto vicino, a suo modo. Perché zio Tonio è un tipo particolare, burbero e pure misterioso. Non sempre i suoi affari sono puliti, ma a lei ha sempre voluto un gran bene. Finché un giorno è proprio lui a chiederle aiuto e, inopinatamente, a sconvolgerle la vita.

Comincia così il primo romanzo di Laura Del Lama, Non so dove ho sbagliato (Cult Editore). La poco più che trentenne scrittrice fiorentina ha indubbie qualità nel gestire la trama di una storia tanto quotidiana (quanti si potrebbero riconoscere nella disillusione esistenziale di Belinda?) quanto forte e originale. Le ansie di una donna schiacciata da una vita grigia e senza più stimoli trovano d’improvviso sfogo in una voglia di ribellione e di rinnovamento inaspettata. Ci sono, inoltre, le tinte del giallo, ovviamente, con traffici di strane sostanze e indagini di carabinieri con, anch’essi, i loro scheletri negli armadi. Ma c’è anche una delicata analisi psicologica tutta femminile, un lirismo dell’interiorità che forse solo una penna di donna può rendere al meglio.

Infine lo stile. Marco Vichi ha definito la scrittura di Laura Del Lama “fresca, semplice, profonda, ironica, leggera, spietata”. Aggiungerei che nelle sue pagine si trova un controllo formale, un periodare snello e accattivante che tiene alta la voglia di voltare pagina, di vedere come va a finire. Quanto diversa dalla scrittura di tanti giovani e meno giovani che, con tutto il rispetto per la buona volontà e la voglia di fare, risultano francamente pesanti e illeggibili. Il breve estratto dalla quarta di copertina ne è la dimostrazione. “Quando, parecchi anni fa, scoppiavo d’istinto materno e cercavo disperatamente di rimanere incinta, immaginavo come avrei cresciuto mio figlio. Gli sarei stata accanto nei momenti più importanti, gli avrei insegnato ad essere libero, entusiasta, curioso. L’avrei aiutato a sviluppare un acuto senso critico, e poi da grande mi avrebbe ringraziato: se fosse diventato un premio Nobel, sarebbe stato anche merito mio. Invece mi ritrovavo un babbeo di quindici anni, lungo e scemo, mediocre a scuola, silenzioso e inespressivo, che mi strascicava per casa dalla mattina alla sera. Non so dove ho sbagliato. Forse non sono tagliata per fare la mamma. Forse, se non riuscivo a rimanere incinta, un motivo c’era.”

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