
«L’uomo subisce due attrazioni, quella del mondo esteriore e quella del centro interiore.
Attratto verso l’esteriore, sprofonda nella concupiscenza e nell’inquietudine; attratto verso l’interiore, trova la certezza e la pace.
Per l’uomo l’esteriorità è un diritto, l’interiorità un dovere.
Abbiamo diritto all’esteriorità in quanto siamo uomini o poiché siamo uomini; e dobbiamo realizzare l’interiorità – dunque vivere verso l’interiore – giacché la nostra sostanza spirituale non è di questo mondo, né di conseguenza il nostro destino.
L’esteriore è la dimensione degli accidenti, l’interiore quella della sostanza. O in altri termini: l’esteriore è la dimensione delle forme, l’interiore quella dell’essenza.
Quando l’uomo ha attuato l’equilibrio tra l’interiore e l’esteriore, quest’ultimo non equivale più alla concupiscenza e all’inquietudine, è quasi interiorizzato, i suoi contenuti sono trasparenti. È vedere la sostanza negli accidenti o l’essenza nelle forme.
Allorché ci ritiriamo verso l’interiore questo, per compensazione, si manifesterà per noi all’esteriore.
La nobiltà dell’anima consiste nell’avere il senso degli archetipi.»
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