L’Appennino cupo di Cocchi

Un ragazzo di sedici anni scappa nel bosco. A casa, il padre accoltellato e un intero allevamento di cani trucidati. Comincia con queste immagini molto forti La cosa giusta (Effigi, 2016), il primo romanzo del pistoiese Michele Cocchi. Dopo l’esordio con la raccolta di racconti Tutto sarebbe tornato a posto (Elliot, 2010), Cocchi ci presenta una storia intima e dalle sottili venature psicologiche, ma allo stesso tempo ruvida e spietata, come la vita degli animali selvatici del bosco. Già, il bosco… se si dovesse dare un sottotitolo a questa storia sarebbe proprio “Il romanzo del bosco”, perché è lui l’assoluto protagonista delle pagine in cui un adolescente fugge da un padre alcolizzato e violento, e una moderna “comune” di trenta-quarantenni scappa da fallimenti vari, rifugiandosi in un casolare di montagna. Il bosco non è solo lo sfondo, lo scenario della vicenda, ma è una presenza costante, viva: coi suoi odori, rumori, animali, sapori. E Cocchi è bravissimo a descriverlo nei minimi dettagli – i nomi delle piante, dei fiori, dei pesci, degli animali – col uno stile lucido e quasi chirurgico. Un lessico a tratti botanico ed etologico, a tratti familiare, gergale, di quel gergo caro alla montagna pistoiese, in cui il romanzo idealmente si svolge. Termini poco comuni come “redola”, “proda”, “gora”, “metato” ci immergono in un contesto realistico grazie a una lingua materica che stimola i sensi del lettore: l’olfatto, la vista, il tatto. Ma bosco e natura non significano atmosfera idilliaca e bucolica, anzi. Si respira costantemente un odore di umido, di freddo, di bagnato, a volte di ammuffito. Nei momenti più cupi, l’aria si fa quasi sepolcrale, andando a contornare vite arroccate, reticenti, ambigue, decadenti in cui ognuno ha qualcosa da nascondere e nessuno si mostra mai totalmente per quello che è. Gabriele, il protagonista, ha solo sedici anni ma vivere accanto a un padre violento che ha fatto fuggire sua madre dalla disperazione lo ha costretto a crescere in fretta. Tanto che, nel finale, sarà lui a fare una radiografia schietta delle vite dei suoi ospiti, che lo hanno accolto nel casolare. Tutti loro scappano da qualcosa e si nascondono dietro il sogno di un ritorno a un passato agreste che però ha perso irrimediabilmente l’innocenza. Michele Cocchi sfrutta i suoi studi psicoanalitici per indagare l’animo umano e il suo amore per l’Appennino per disegnare un mondo che, malinconicamente, tende a scomparire.


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