L’apparenza inganna – Thomas Bernhard

(foto Luca Manfrini)Si è tenuta ieri l’ultima replica de L’apparenza inganna, dramma di Thomas Bernhard che ha avuto un’insolita programmazione dovuta ad una originale scelta registica. Infatti, invece delle consuete tre repliche del finesettimana, l’opera è stata diluita in ben 23 repliche perché ambientata in due distinti spazi del teatro Manzoni che permettevano una capienza limitata di posti. Una scelta che ha portato il pubblico a stretto contatto con le parole, i gesti, le mimiche e le “fatiche” dei due bravi attori, Sandro Lombardi e Massimo Verdastro, rispettivamente Karl e Robert. Nel testo di Bernhard, Karl e Robert sono due anziani fratelli che ogni martedì e giovedì si fanno rispettivamente visita. Gli spazi scenici sono appunto i due salotti dei protagonisti e lo spostamento fisico richiesto agli spettatori per recarsi dalla “casa di Karl” a quella di Robert simboleggia il percorso fatto dagli stessi personaggi.
Il tema centrale della rappresentazione è quello della solitudine di due persone (Karl è vedovo da poco della moglie Mathilde, Robert non si è mai sposato, entrambi in pensione e lontani dal mondo dello spettacolo) che si confrontano nelle rispettive ipocondrie, manie, piccole psicosi. I malanni fisici, le frustrazioni mentali e gli inevitabili bilanci di una vita sono gli ingredienti dei monologhi e dei dialoghi con cui i due fratelli giocano a fioretto, punzecchiandosi e rivelandosi l’un l’altro, non senza amara ironia. Karl è un finto autoritario, sicuro di sé in una corazza di marzapane pronta a sbriciolarsi non appena il fratello “debole” gli sbatte in faccia la cruda realtà della sua malattia. Robert, da parte sua, è un animo fragile che ha coltivato un rapporto quantomeno ambiguo con la moglie del fratello, non dal punto di vista sessuale ma sicuramente da quello affettivo, avendo stabilito con lei un rapporto estremamente intimo, tanto da riceverne una casa in eredità! La bravura degli attori, oltre alla recitazione impeccabile, sta proprio nel riuscire a far emergere queste due interiorità, così distinte ma allo stesso tempo complementari. L’atmosfera generale che ne deriva è, forse inevitabilmente, di oppressione, di claustrofobia, di nevrosi. Il finale repentino, inaspettato, senza ulteriori strascichi (è appena stata data a Karl la terribile notizia della sua malattia) contribuisce a far calare sullo spettatore un senso di disagio e straniamento.
«Non abbiamo mai perso la gioia di vivere, anche se siamo stati sempre infelici», afferma Karl, e in questa paradossale sentenza sta molta parte dello spirito di questo dramma.


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