La Firenze nera di Gucci e Vichi

Recensione originariamente pubblicata il 20 ottobre 2006 su WEMA – Web Magazine e attualmente non più reperibile.

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Firenze nera (Aliberti, 2006) raccoglie due racconti di due autori fiorentini, Vichi e Gucci, ambientati nella loro città. Lo sfondo delle vicende non è però quello da cartolina fatto di piazze, palazzi e monumenti celeberrimi. Gli spazi in cui si muovono i protagonisti di questi racconti sono quelli grigi e nascosti comuni a molte città moderne; sono le pieghe e i risvolti di un mondo all’apparenza sano e pulito ma, appena sotto questa maschera, corrotto e malsano, a volte putrido. Il genere noir, a cui la collana “Due thriller per due autori” fa riferimento, ha infatti nelle sue corde anche questo: l’indagine delle smagliature di una società che ha nascosto con l’opulenza e il perbenismo i suoi lati peggiori. Lati oscuri, appunto, da tenere il più possibile nascosti.

Il racconto di Marco Vichi, Cucina a domicilio, è in apparenza la storia di un “normale” serial-killer, per quanto fantasioso ed esotico nelle sue esecuzioni. Queste ricordano un po’ le originali condanne a cui venivano sottoposti i monaci troppo curiosi del “Nome della rosa”, ma il parallelismo si ferma qui. Le tre vittime designate sono qui professionisti di successo (un avvocato, un palazzinaro e un imprenditore), ricchi, arroganti, tronfi nella loro posizione di potere sociale. Ma quello che più colpisce del loro arrivismo è la volgarità e la totale assenza del senso di rispetto verso il prossimo. Il loro individualismo sfrenato gli ha dato il successo, per raggiungere il quale non hanno esitato a corrompere e a rovinare altri esseri umani: i più deboli, i perdenti secondo la loro spietata etica da “legge della jungla”. Tutto gli è sempre andato bene, nessun intoppo giudiziario, familiare o professionale. Tutto liscio come l’olio. Finché, dal loro comune passato di gozzovigli, non emergerà un giovane angelo della vendetta, uno spietato giustiziere che gli presenterà il conto di una delle loro tante vigliaccate. Il macabro contrappasso cui saranno sottoposti sarà la naturale nemesi della loro vita. Naturale per il lettore e per l’autore, non tanto per quello che accade realmente nel mondo, dove alla fine i più “furbi” riescono spesso a farla franca. Ma la letteratura serve anche a questo: ad esorcizzare certe frustrazioni e a sfogare una, seppur iperbolica e metaforica, voglia di giustizia.

Il racconto di Emiliano Gucci tratta invece un tema tanto scottante e attuale quanto sottaciuto dai media e dalla cronaca: la pornografia estrema, il mercato del sesso, la schiavitù femminile. Il titolo, Gang bang, è molto chiaro in questo senso. Con il suo stile “leggero” e accattivante, l’autore ci descrive una compagnia di vecchi amici di scuola che si ritrova per la festa di addio al celibato di uno di loro. Il festino (a base di cena erotica, lap dance e privé) sarà l’inizio di una spirale che li porterà a contatto col mondo del porno selvaggio. Lucio, uno della compagnia, comincia infatti a “recitare” piccole parti in filmetti tanto squallidi quanto ricercati da un pubblico insospettabilmente vasto. Il lettore scopre così l’esistenza di un lucroso business basato sulla scarsa moralità di tanti uomini e sulla riduzione in semi-schiavitù di altrettante donne. Non una predica, non un sermone moralistico che condanna la pornografia tout-court, ma un severo monito contro l’abuso sessuale ai danni di giovani, spesso minorenni, che non hanno la possibilità di ribellarsi, pena la morte, ai vincoli che li legano ai loro “padroni”. Il racconto termina in una villetta sulle placide colline fiorentine, dove si svolge un particolare tipo di orgia, una gang bang appunto, che sfocia in tragedia. Un pugno allo stomaco che non potrà lasciare indifferente il lettore. Anzi, gli spunti di riflessione (amara) si presenteranno numerosi.


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