Il lavoro di vivere

L’appuntamento della stagione teatrale pistoiese si è spostato questo fine settimana al teatro Bolognini che ha ospitato Il lavoro di vivere, di Hanoch Levin. La storia gira attorno a due anziani coniugi (Carlo Cecchi e Fulvia Carotenuto) che in una notte di temporale buttano sul piatto tutte le frustrazioni represse di una vita coniugale che, dopo trent’anni, non ha più niente da dire. Il tempo (una notte) e lo spazio (la camera da letto) non mutano mai per tutta la durata dello spettacolo e contribuiscono a dare quel senso di angoscia che, nonostante la sferzante ironia del testo, aleggia su tutto. Lui vomita su di lei senza pietà tutti i sogni mancati, la vita non vissuta, le emozioni mai sbocciate e i rimpianti sempreverdi. Lei cerca di rintuzzarlo, prima facendo la vittima e implorandolo di restare, poi contrattaccando con la minaccia di una solitudine che sarebbe più pesante della trita quotidianità. Le verità che i due si buttano in faccia l’un l’altro sono senza pietà, di carta vetrata e fanno ancora più male perché gran parte del pubblico non avrà difficoltà a riconoscerle come assai comuni. Proprio il pubblico viene chiamato in causa quale protagonista-assente della pièce: i cari defunti dei personaggi che li guardano e ridono sarcastici dei loro fallimenti. A metà spettacolo entra in scena un terzo “incomodo” (Massimo Loreto), un amico sfrontato e solitario che li fa riflettere su come, alla fine, sia sempre meglio “abbaiarsi la rabbia l’un l’altro” che non avere nessuno contro cui rivolgerla. Il finale è drammatico, ma forse rappresenta pur sempre un alleggerimento della vicenda che, come il vero teatro dovrebbe sempre fare, chiama in causa la coscienza di ognuno e ci costringe a fare i conti col nostro vissuto. Regia di Andrée Ruth Shammah delicata, essenziale e capace di sottolineare con semplici giochi di luce i momenti salienti del dramma; recitazione estremamente naturale e coinvolgente.

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