Il Don Giovanni di Filippo Timi

IL DON GIOVANNI 8 legg (foto Achille Le Pera)Ero scettico prima di andare a vedere la versione del Don Giovanni portata in scena da Filippo Timi al teatro Manzoni. Avevo letto qualcosa qua e là, visto qualche foto dello spettacolo e quello che saltava subito all’occhio era il tono volutamente eccessivo della scenografia e dell’intero impianto drammaturgico. Reso celebre dalla penna di Da Ponte e dalle musiche di Mozart, prima ancora da Moliere che a sua volta si era rifatto al testo spagnolo di Tirso De Molina, il Don Giovanni ha avuto così tanta fortuna da diventare una figura antonomastica della cultura occidentale. Rieditare opere del genere non è mai cosa facile e il rischio di eccedere giusto per fare gli originali è grande. Per questo ero scettico.

E invece sono stato smentito perché l’opera di Filippo Timi (attore, regista e scenografo) è sì altisonante, barocca, grottesca e a tratti blasfema (come richiede il testo, d’altronde) ma una mente non bigotta non può non venire travolta e affascinata da tanta carica irriverente e goliardica. Le quasi tre ore di spettacolo filano via grazie alle abili interpretazioni di giovani attori coordinati dal regista che non ruba mai la scena e fa ridere spesso il pubblico, pur all’interno di una narrazione inquietante. Le scenografie e i costumi sono gli elementi che subito invadono la vista con la loro estetica super-kitch e sfarzosa; così come fortemente caratterizzanti risultano i linguaggi usati dai personaggi riplasmati per adattarli ad esistenze sopra le righe (la tedescheggiante sadica in lattice nero Donna Anna, l’anglofona da telenovela pop Donna Elvira, il romanesco burino di Zerlina e Masetto, il francese insolitamente duro e spietato di Ludovico); e poi la colonna sonora, un frullato che spazia da Celentano ai Queen, dalla peggiore musica da karaoke a Leoncavallo.

IL DON GIOVANNI 3 LEGG (foto Achille Le Pera)Un tripudio di plastica, luci aggressive (su tutte il pavimento in stile dancefloor anni ’70), abiti ingombranti e improbabili per riproporre il mito dongiovannesco che oggi non potrebbe che essere così. I filmati presi da youtube e proiettati a parete dimostrano, infatti, tutta l’attualità della follia e dell’alienazione cui è giunta la nostra società. Gli eccessi e la misoginia di Don Giovanni non potevano che sguazzarci dentro. E il microfono volante che compare a enfatizzare quelli che, secondo i personaggi, dovrebbero essere i loro momenti più solenni, è una perfetta metafora di quanto oggi recitiamo le nostre vite non appena siamo (o pensiamo di essere) sotto i riflettori. La rilettura timiana potrebbe sembrare un tradimento del testo originale, nel voler andare sempre “oltre” con la sua estetica da baraccone e invece sono persuaso che lo spirito dell’opera sia stato mantenuto e rispettato. In fondo, nel ‘700 non doveva sembrare meno trasgressivo il testo di Da Ponte di quanto oggi non lo sia il nudo integrale di un angelo che saltella candido o di un’ironica defecazione sul palcoscenico. Nemmeno la parte filosofica ed escatologica viene dimenticata, soprattutto all’inizio e alla fine dello spettacolo: le riflessioni del protagonista sulla vita e la morte, la non casuale battuta su Kierkegaard e un Convitato di Pietra che fa in pieno il suo dovere. Quest’ultimo ricorda persino ad un popolo di smart-phone e teledipendenti, drogato di politica grottesca quanto il culone del servo Leporello, che “fateci caso, chi comanda davvero rimane sempre nell’ombra”. Chissà se ci rifletteranno quelli che fra poco faranno la fila e pagheranno addirittura due euro per votare uno che scimmiotta i divi di Hollywood su Vanity Fair.

Altri interpreti: Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino, Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli. Costumi: Fabio Zambernardi. Luci: Gigi Saccomandi


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