Il bolscevico zoppo

Un nostro appassionato lettore, Giovanni Contante, ci invia un suo racconto breve con preghiera di pubblicazione che noi volentieri esaudiamo.

Se anche tu hai un racconto, una poesia, un romanzo inedito e ti va di pubblicarlo sulle pagine telematiche de LA MELA PISTOIA, non esitare a contattarci!

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Nel 1917 un giovane di bell’aspetto, ma con pochi quattrini, partì da Lamporecchio per unirsi alle armate bolsceviche che stavano facendo la rivoluzione in Russia. Si chiamava Alberto Accraccati ed aveva evitato il fronte e le trincee per un difetto all’anca che lo faceva claudicare vistosamente. Sentiva però di poter dare il suo contributo allo srotolarsi ineluttabile della Storia. Certo Lenin non avrebbe fatto storie per la sua anca sbilenca.
Partì, dunque, un mercoledì mattina di novembre che faceva un freddo cane, pioveva e tirava vento. Un barroccio gli dette un passaggio fino a Casalguidi e quando scese pensò: “il San Baronto l’ho superato, il più è fatto!”.
Arrivò a piedi fino a Masiano e di lì la camionetta di un ortolano lo portò fino alla stazione ferroviaria di Pistoia. Cercò sul cartellone delle partenze il primo treno per Mosca ma, non trovatolo, si accontentò di Firenze. Per fare il biglietto impegnò un terzo dei soldi che era riuscito a racimolare. Un altro terzo lo spese per comprarsi un panino, ché nel frattempo gli era presa fame e se voleva affrontare il freddo della steppa doveva presentarsi bello in forze.
Arrivato a Firenze fu subito intercettato da una graziosa signorina che non ci mise molto a convincerlo a seguirla nel bordello dove lavorava. Così sparì anche l’ultimo terzo dei soldi che aveva e, senza una lira in tasca, pensò di guadagnare qualcosa chiedendo l’elemosina per le strade della ricca città. Sfruttando la compassione che il suo ancheggiare scomposto suscitava nei passanti, avrebbe dato il suo contributo alla causa. Nel tardo pomeriggio aveva messo su quanto bastava per comprare il biglietto per l’accelerato che l’avrebbe condotto a Bologna. Con suo grande stupore, anche dalla grande stazione di Firenze non c’erano diretti per Mosca. Il treno partì in orario, pur non essendoci ancora LVI al governo, ed Alberto sorrideva mentre lasciava la stazione di Santa Maria Novella.
Nessuno lo vide più.


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