In ginocchio – Ultimo Teatro

in-ginocchio-2Il duo di Ultimo Teatro, Elena “Nina” Ferretti e Luca Privitera, ha presentato ieri sera lo spettacolo da loro scritto e interpretato: In ginocchio. Presso la “Fabbrica delle emozioni”, durante la serata di tesseramento e raccolta fondi per Libera – sezione Pistoia, è andata in scena la prima regionale della piece che racconta, da un punto di vista originale e “interno”, due storie di mafia, diverse ma intimamente legate. Lei è una donna che in Cosa Nostra ha trovato un’identità, una posizione, una famiglia (in senso stretto e in senso allargato), e all’interno dei suoi “valori” si è formata e ha cresciuto i propri figli, per poi vederli morire scannati, sempre in ossequio a quei “valori”. Non mostra segni di pentimento, perché quello è il suo mondo, fatto di obbedienza al marito e bocche cucite, con i suoi “codici d’onore” contro i quaquaraquà dello Stato e dei vigliacchi non affiliati all’organizzazione. Lui è un ex assassino mafioso, che ha capito quanto marcio sia quel mondo e ha iniziato ad uccidere proprio i boss a cui fino a poco tempo prima aveva tributato rispetto. Ma ha capito anche il marcio non è solo in Cosa Nostra, ma si estende nella cosiddetta società rispettabile. Entrambi sono in carcere, al regime del 41 bis e del 416 bis, e dentro il carcere iniziano a riflettere sulle loro esistenze e su quel sistema che li ha allevati prima e puniti poi. E non fanno sconti a nessuno.

Non fanno sconti a uno Stato che mostra di lottare la malavita, ma sotto sotto ci fa accordi. Una perenne “trattativa” in assenza della quale la mafia non durerebbe e non crescerebbe in ricchezza e potenza, anche militare.
Non fanno sconti alle regioni del centro e nord Italia che, pur non essendo terre di mafia, ospitano ormai in modo massiccio attività e centri logistici di camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e cosa nostra.
Non fanno sconti a politici di tutti i colori e massonerie che dal rapporto osmotico con le mafie traggono potere e radicamento territoriale.

La figura del “Signor Giudice”, continuamente evocata dai due personaggi in un’immaginaria aula di tribunale, diventa quindi una diafana proiezione della loro coscienza con cui fare i conti. E i conti finali sono amari e dolorosi, fino all’ammissione ineluttabile che “questo carcere ce lo meritiamo”.

Uno spettacolo intenso che alla fine ha lasciato un prolungato silenzio in sala proprio per le corde profonde che è riuscito a toccare. Poi sono arrivati i meritati applausi per una recitazione piena di pathos e vera passione, mai incerta e all’interno di scenografie semplici ma altamente simboliche (candele, croci, carte da gioco). Un plauso speciale a Elena che, anche grazie alla prolungata residenza teatrale in Sicilia sotto la guida del regista Sergio Lo Verde, è riuscita a introiettare l’accento e la musicalità del dialetto palermitano.
La scheda completa dello spettacolo è visibile qui.


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