Drugs – nove racconti italiani

Articolo originariamente pubblicato il 27 agosto 2011 su Lo Snodo e attualmente non più reperibile.

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É da poco uscita per Guanda l’antologia Drugs – nove racconti italiani, curata da Divier Nelli, che raccoglie testi di Biondillo, Ciabatti, Fois, Genghini, Del Lama, Morozzi, Varesi, Vichi, Nelli sul tema delle tossicodipendenze. Argomento già trattato in tutte le salse, viene però qui analizzato da angolature particolari spaziando su tutti i tipi di droghe: fumo, farmaci, eroina, cocaina, allucinogeni. Abbiamo rivolto qualche domanda ad alcuni degli autori presenti.

Divier Nelli

Come ti è venuta l’idea di un’antologia su questo tema?

Tempo fa ho lavorato per un periodo al CeSDoP di Lucca. Ogni giorno ero a contatto con storie e testimonianze shoccanti legate al traffico e al consumo di droghe di ogni tipo. Questa forte esperienza, unita alla mancanza nelle librerie di un’antologia sull’argomento, mi ha spinto a realizzare un volume dove agli scrittori partecipanti chiedevo un racconto su una sostanza specifica. Ci tengo a dire che l’obiettivo di Drugs è quello di spingere il lettore a riflettere e a trarre le proprie conclusioni, talvolta anche divertendosi. Non volevo un’antologia che trasmettesse un messaggio pro o contro sostanze. Per questo, ci sono già migliaia di saggi e testi di fiction e non fiction.

Il tuo racconto, Un lavoro per vecchi, vede coinvolta in un traffico di droga una persona anziana e “fuori dal giro”. Quanto questa è un’idea originale e quanto uno specchio della realtà?

Diciamo cinquanta e cinquanta. La vicenda in questione e i personaggi descritti sono naturalmente di fantasia, ma sono a conoscenza di storie molto simili. In Versilia, per esempio, un trafficante si faceva arrivare stupefacenti dal nord Italia servendosi di anziani bisognosi come corrieri.

Pensi che le droghe, di tutti i tipi, siano ancora un mezzo di controllo sociale o solo una “piaga” da estirpare?

Per rispondere in modo esaustivo, bisognerebbe affrontare sfere spesso in contrasto tra loro. L’economia, la politica, la giurisprudenza, la storia, la scienza, l’etica, bisogni e desideri degli individui, libertà personale ecc… Rispetto alle sostanze, credo non sia sufficiente un approccio esclusivamente giuridico-sanitario. Visto che il consumo è un ormai un fatto sociale, da molti dato addirittura per scontato, sarebbe auspicabile una nuova coscienza di massa, formata, ma non solo, tramite un’informazione più precisa e soprattutto dall’educazione.

Laura Del Lama

Tu hai fatto un corso come operatrice sociale a stretto contatto con persone che avevano avuto anche problemi con le droghe. Questo ha influito sul tuo racconto?

Ha molto influito. Durante il corso ho fatto tirocinio a Sollicciano nella sezione femminile, nella casa circondariale di Empoli e in una comunità di recupero fiorentina. Ho conosciuto molte persone, ho ascoltato le loro storie: di mezzo c’era sempre la droga, eroina o cocaina. Sono passati più di dieci anni da quell’esperienza ma non ho dimenticato niente: mi ricordo le facce, ricordo bene il dolore. Di Can Tunis mi ha raccontato un ragazzo che ho conosciuto nella comunità di recupero. E’ un quartiere a pochi chilometri da Barcellona, un posto da brividi, pieno di zombie che convivono con una umanità che invece è tutt’altro che morta. Mi è subito sembrata una bella storia da raccontare. L’ho fatta mia, l’ho riadattata al personaggio del mio racconto.

Nel tuo racconto, La cagna, vengono ribaltati alcuni luoghi comune sulla droga. La protagonista infatti non è giovane, non vede la droga come una cosa negativa e fa uso di eroina consapevolmente. Da dove hai tratto questo punto di vista? Non pensi che possa in qualche modo far apparire una droga così devastante in modo più edulcorato, quasi buono?

Non l’ho inventata io questa prospettiva, magari. La società ci spinge ad essere “dipendenti”, possibilmente in modo consapevole, poi si sa che c’è sempre il soggetto più debole, quello a cui la situazione sfugge di mano: ma è già stato messo in conto. L’eroina non è molto più devastante del vizio del gioco: eppure oggi il sistema pubblicizza continuamente lotterie, gratta e vinvci, videopoker e quant’altro. Se mettiamo su una bilancia eroina e psicofarmaci non sono sicura di sapere da che parte penderà. Entrambi rendono più accettabile una vita che altrimenti non sapremmo affrontare, entrambi danno dipendenza, entrambi sono dannosi per la salute. L’eroina rispetto agli psicofarmaci è più cara ed è illegale: perchè sia così però non saprei dire.

Il tuo racconto ribalta anche il paradigma della maternità, qui vissuta come una condanna. Pensi che la maternità gioiosa sia uno stereotipo da telefilm che a volte non trova riscontro nella realtà?

La maternità gioiosa è sicuramente un grosso stereotipo. Donna è sempre stato sinonimo di madre però credo che ci siano molte di loro che fanno figli senza desiderarli veramente. Pensiamo a una donna felicemente sposata e magari con un lavoro sicuro e un buon stipendio: ha sicuramente dei genitori che la tartassano perchè vogliono un nipotino, amici che si preoccupano per la sua salute insospettiti dal fatto che ancora non ha procreato, vicini di casa molto diretti che le dicono che i figli vanno fatti perchè quando invecchi ti ritrovi sola come un cane, conoscenti vari che la guardano strano. Alla fine tante pressioni possono influenzare le tue scelte. Non fare figli sembra quasi un peccato, forse lo è davvero, però non diamo per scontato troppe cose. La maternità è cosa seria: non si tratta solo di mettere al mondo una creatura, si tratta di coprire un ruolo e non tutte siamo all’altezza.

Marco Vichi

Il tuo racconto, Lo sciopero, tratta della dipendenza da nicotina, la droga più comune e “normale”. Gli effetti sulla condizione psico-fisica dell’individuo però, in caso di astinenza, possono essere molto forti. Perché hai deciso di trattare questa particolare droga?

Proprio per questo “inganno” ipocrita che annovera la nicotina tra i vizi ma non tra le droghe, in virtù del fatto che non è proibita ma fornita dallo Stato. Se a qualcuno dici che la nicotina è una droga, di solito ti risponde: “Macché droga, la vendono dal tabaccaio.”

Il fumo, così come l’alcol o il gioco d’azzardo, è una droga legale, di stato. Secondo te, quanta credibilità perde un’istituzione nel rendere legali certe sostanze? Allo stesso tempo, però, il proibizionismo non è una soluzione al problema…

Il discorso è lungo, provo a sintetizzare: Il tabacco, insieme all’alcol (tutte e due sostanze “libere”, controllate dallo stato), è responsabile di migliaia di morti all’anno solo in Italia, molto più di ogni altra droga proibita: quelli che riescono a smettere di assumere eroina sono infinitamente di più di coloro che riescono a smettere di bere alcol o di fumare tabacco. L’ipocrisia – o molto più probabilmente un interesse occulto – hanno diviso le “droghe” in due categorie: quelle legali e quelle proibite. Le prime passano per “veniali” solo perché sono legali, anche se il mondo è pieno di alcolizzati e di tabagisti che per procurarsi la loro droga sarebbero disposti a tutto (una trentina di anni fa, durante un lungo sciopero della manifattura tabacchi, nel nord Italia si organizzavano grandi carovane di persone che prendevano le ferie per andare a Napoli a comprare le sigarette di contrabbando). Le seconde sono demonizzate in quanto illegali, ma è solo una faccenda culturale e, come dire, terminologica: istintivamente si tende a considerare “sbagliato” ciò che è proibito, e giusto ciò che è legale. Ma la Legge non può certo essere l’unico parametro etico, visto che ad esempio Hitler governava con leggi diaboliche e che nel ’38 Mussolini aveva promulgato le “leggi razziali”. Nei primi del Novecento, in Por Santa Maria a Firenze (vicino a Ponte Vecchio), esisteva un negozio che vendeva marjuana, morfina base, laudano, oppio, ecc ecc, nella legalità più assoluta. Dunque allora non erano droghe? Ogni epoca ha avuto le sue proibizioni, e ogni volta è stato un disastro: come dimostrazione possiamo prendere Al Capone, che in pochi anni diventò il padrone di Chicago per “merito” del proibizionismo dell’alcol. Così come negli ultimi trent’anni le varie droghe proibite hanno fatto arricchire le mafie di tutto il mondo fino a farle diventare più potenti degli stati nazionali (nei primi anni ’80, quando scrissi un articolo sull’eroina proponendo allo Stato di farne un monopolio come per il tabacco e l’alcol, dalle mille lire di un chilo di oppio si otteneva un miliardo di guadagno). In Colombia i vari “cartelli” della droga hanno un esercito personale, tanto per capirsi… Il passo successivo potrebbe essere un colpo di stato della mafia. La proibizione non può frenare il desiderio, riesce soltanto a farlo diventare enormemente più caro e molto più pericoloso per la salute. Cosa succederebbe se l’alcol venisse proibito? La gente rinuncerebbe a bere? Qualcuno può credere a una favola del genere? La verità è che la distillazione uscirebbe fuori controllo, l’alcol diventerebbe più che mai velenoso e un litro di grappa costerebbe duecento euro, portando fiumi di soldi alle varie mafie mondiali. Tutte le proibizioni di questo tipo hanno sempre prodotto effetti nefasti: danno per i “consumatori”, montagne di soldi per la malavita, aumento del “pericolo sociale” (scippi, furti e rapine allo scopo di procurarsi il denaro per le droghe), con conseguente saturazione delle galere. Anche le nuove droghe sintetiche che distruggono il cervello dei ragazzini sono un frutto malvagio della proibizione: si tende a creare nuove sostanze a buon mercato (alla portata della paghetta del sabato) ma di grande “effetto”, allo scopo di allargare più possibile il mercato della droga. Riguardo a ogni tipo di sostanza, sogno un mondo responsabile e libero da proibizioni in cui gli stati educhino adeguatamente i loro cittadini con informazioni sulle droghe (alcol e tabacco compresi, ovviamente), e dove ognuno possa scegliere come vivere.

Marcello Fois

Il suo racconto, Visto ma mai guardato, tratta un tema spinoso e quasi tabù: l’uso di sostanze stupefacenti da parte delle forze dell’ordine. Il racconto ne parla in chiave privata, quasi intima, ma fa comunque riflettere su un fenomeno apparentemente paradossale. Da dove le è venuto questo spunto?

Lo spunto mi è giunto da una notizia giornalistica riguardante “l’albanese” cioè un trattamento della marijuana che la rende più competitiva sul mercato. Il trattamento consiste nel bagnare le foglie in ammoniaca prima di farle essiccare. L’ultima frontiera delle droghe cosiddette leggere dunque una forma di adulterazione per chi non si accontenta di uno sballo standard. In ogni caso più che dell’uso di stupefacenti da parte delle forze dell’ordine il mio racconto parla di livelli di tolleranza di un fenomeno che visto dalla polizia assume contorni che noi cittadini comuni non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Da un punto di vista stilistico, il racconto si apre con un primo capitolo in terza persona con una lingua gergale e volutamente sgrammaticata per poi continuare fino alla fine in prima persona e con una lingua tutto sommato più pulita. Cercava l’effetto “disorientamento” sul lettore, come fosse la lingua stessa una sostanza stordente?

Il punto di vista stilistico è onirico. In fondo Carnevali salva la sua donna perché sogna se stesso e quel sogno gli racconta i suoi fallimenti, come padre, come marito, come poliziotto. Eppure la sua ermetica umanità scaturisce lo stesso, c’è una malinconia nel fallito che la scrittura enfatizza. Il linguaggio di questo racconto vuole adattarsi a questo percorso di perdizione e redenzione.

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